
Opere seducenti, intense che lasciano il visitatore affascinato dall'uso del colore alle volte tenue, quasi trasparente nascosto dietro una nebbia milanese o una nevicata, alle volte forte, deciso, prorompente con quelle pennellate rosso fuoco, arancioni, gialle come fossero esplosioni di lapilli che tutto inondano e sconvolgono.
Maestr

E' vero. Ma io dipingo ciò che sento in quel momento. La mia arte è come un sogno caotico.
Lei ha vissuto a Parigi dove è diventato amico di personaggi come Eduardo Arroyo, Gilles Aillaud e Jaques Prévert per poi trasferirsi a New York e infine tornare in Italia, a Milano. Sembra quasi che dopo un po' si stancasse dei posti.
Io sono alla continua ricerca di qualcosa. Dopo un po' ho bisogno di togliermi di dosso le abitudini che piano, piano ti inghiottiscono come in una sabbia mobile. Ho bisogno di rimettermi in gioco di continuo e così quando un luogo non mi emoziona più facendo finire la mia vena creativa me ne vado.
Lei, eterosessuale, spesso dipinge uomini, mai donne. Come mai?
Non sono uomini qualunque. Sono io. Io sono il protagonista di questi quadri. Io parlo di me come può fare uno scrittore. Tutti noi artisti, ognuno nel proprio campo, diventiamo i protagonisti di noi stessi. Una sorta di autobiografia.
Visto che siamo a Firenze, come vede questa città?
Un cimitero storico. Tutto qui è straordinario, irraggiungibile, ma alla fine è una città morta.
E se fosse un colore?
Il bianco. La purezza, ma anche il niente.
Come vorrebbe essere ricordato tra 100 anni?
In nessun modo. Non mi interessa. Come non mi interessa morire. Non voglio un funerale, non voglio una croce, non voglio gli amici.
A proposito, lei era una grande amico di Enrico Coveri. Come lo ricorda?
Una persona straordinaria. Un genio. Un grande uomo.
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Il catalogo della mostra contiene un testo critico del giovane Francesco Dama
www.galleriadelpalazzo.com
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